Itinerario Archeologico a Catania - fra le vestigia greche e romane

Seguici anche su:
Vai ai contenuti

Itinerario Archeologico a Catania - fra le vestigia greche e romane

SicilyTourist.com La Guida di viaggi e turismo in Sicilia più completa
Pubblicato da Sicily Tourist in Catania e Provincia · 5 Novembre 2023
Le tracce di Catania durante il periodo greco risultano pressoché cancellate a causa delle sovrapposizioni avvenute dapprima in epoca romana e nella fase successiva ad opera degli innumerevoli popoli che si sono avvicendati nel dominio della metropoli etnea. La conoscenza del centro storico di Catania parte dalla Collina di Montevergine caratterizzata da “stratificazioni archeologiche” fin dall’età neolitica. La sommità della Collina (corrispondente all’attuale Piazza Dante) fu il luogo in cui sorse, intorno all’VIII sec a.C., la mitica acropoli della Katàne greca, centro della vita religiosa e politica, a cui si sovrapposero strutture abitative e viarie della Càtina romana.



Lungo le strade della barocca, ricostruita in età barocca nella prima metà del XVIII secolo a seguito della distruzione dell’abitato preesistente provocata dal devastante terremoto del 1693 che provocò la morte di sedicimila persone, si incontrano accanto agli splendidi edifici del passato più recente anche le testimonianze dell’insediamento romano.

Da non perdere:

Complesso archeologico del Teatro e dell’Odeon



Il complesso archeologico del teatro e dell’odeon si estende sul pendio meridionale della collina di Montevergine, abitata fin dalla preistoria e sede della colonia greca calcidese di Katane, fondata nel 729-728 a.C.
La cavea del Teatro è costituita da nove cunei delimitati da otto scalette. Divisa orizzontalmente, è definita, nella parte superiore da un ambulacro che si apre verso l’esterno con grandi porte alternate a finestre, al quale, in antico, si addossava probabilmente un loggiato. Mentre la parte inferiore, caratterizzata dalla presenza di gradoni in calcare, è direttamente poggiata sul pendio naturale, la media e la summa cavea sono sostenute da poderosi muri radiali attraversati da due ambulacri collegati tra loro da scale. Dagli ambulacri si accede ai diversi settori delle gradinate. La cavea è strutturalmente connessa all’edificio scenico e comunica con  esso mediante un complesso sistema di corridoi. Essi consentivano il passaggio, oltre che agli ambienti retrostanti il palcoscenico, anche alle torri scalari. L’edificio scenico in antico dovette essere imponente. La sua fronte era lussuosamente ornata da statue collocate dentro esedre fiancheggiate da colonne di ordine corinzio poste su piedistalli con delfni in rilievo. Alla sua base, tra alte zoccolature decorate da bassorilievi, si aprivano tre porte attraverso cui gli attori giungevano sul palcoscenico.
Dopo le ultime campagne di scavo è ben visibile la porta orientale con due grandi colonne ai lati, delle quali oggi si vedono in situ le basi in pietra lavica e, solo per quella posta sul lato sinistro dell’ingresso, il piedistallo marmoreo decorato con bucrani e teste taurine. La porta hospitalis e gli ambienti retrostanti, intorno al XVI secolo, furono occultati per la costruzione di una casa che si sovrappose anche alla porta regia, della quale è visibile finora solo il fianco orientale, privo dei rivestimenti marmorei. Davanti alla fronte della scena si estendeva un largo palcoscenico la cui fronte, movimentata da piccole nicchie rivestite in marmo e decorate da statue, come quella raffigurante Leda col cigno, copia romana di un originale greco di Timoteo (IV secolo a.C.), era coronata da una cornice in marmo con motivi vegetali stilizzati.
L’orchestra conserva il pavimento marmoreo il cui disegno è dato da grandi cerchi inscritti dentro quadrati. Esso fu restaurato già in antico allorché, essendosi rovinato anche per la fragilità dei marmi che lo componevano, fu integrato, con lastre di marmo bianco, senza rispettare il disegno originario. Invasa da numerosi piccoli recinti per animali nella prima metà del V sec. d.C., l’orchestra, tra il 600 e il 650 d.C., fu ricolmata da un poderoso crollo delle parti alte della scena e della cavea come indica la presenza di grandi blocchi in calcare, relativi alle gradinate, di capitelli, di parti di colonne e di sculture relative alle decorazione del palcoscenico e della fronte della scena.
Nel medioevo, distruggendo parte dell’orchestra già coperta da macerie, fu costruita una struttura quadrangolare a grandi blocchi squadrati di calcare, del tutto simili a quelli di un poderoso muro scoperto nel 1919 al di sotto dell’edificio moderno che grava sul lato occidentale del monumento. Tale muro è stato inteso come elemento strutturale di un più antico Teatro greco a struttura trapezoidale.
Il prospetto esterno del Teatro, in luce solo per un breve tratto su via Teatro greco, é movimentato da scale e da grandi esedre che erano, probabilmente, decorate da statue.
Dall’analisi delle strutture, della decorazione architettonica e  dei dati di scavo si ricavano le diverse fasi del monumento. Costruito nell’area già occupata probabilmente da un teatro ellenistico, ebbe in età augustea la sua prima sistemazione come teatro romano: sulle parodoi furono costruite le ali estreme della cavea che venne così saldata all’edificio scenico davanti al quale si sviluppava un palcoscenico meno ampio di quello ora a vista. Il teatro raggiunse il suo assetto definitivo nel II secolo d.C., epoca a cui risalgono anche la decorazione della fronte scena e molti dei frammenti di sculture e bassorilievi rinvenuti. Tra la fine del III e la prima metà del IV secolo d.C. fu restaurato e fu realizzato un palcoscenico più ampio utilizzando come materiale da costruzione anche frammenti di statue e di colonne. In questa fase sugli ultimi gradoni dei cunei orientali fu sovrapposto un alto podio collegato all’orchestra mediante scale. Fu modificato pure il passaggio dalla parodos orientale agli ambienti retrostanti la fronte scena, con la realizzazione di un ampio corridoio, dotato ad est di aperture ad arco, ora visibili nell’area di ingresso al monumento.

ODEON



Con odeon, in greco odeion, si identifica un edificio per spettacoli coperto destinato ad accogliere rappresentazioni musicali, concorsi di poesia. A Catania l’odeon sorge immediatamente a ovest del teatro antico. Si tratta di un piccolo teatro, che in origine era probabilmente coperto e che sostituiva la scena con un semplice muro. La cavea del diametro di oltre 40 m conteneva intorno a 1500 spettatori. Essa, divisa in due settori da una stretta precinzione, era sostenuta da 17 ambienti trapezoidali coperti da volte. L’orchestra conserva la pavimentazione marmorea.
La facciata esterna era formata da un unico ordine di arcate scandite da paraste in opera quadrata. Come l’edificio del teatro, è costruito quasi interamente in lava, ma in origine era dotato di una ricca decorazione marmorea che ne modificava l’aspetto monolitico. Sulla base dell’articolazione della facciata, l’edificio è generalmente considerato coevo alla seconda fase del teatro, e dunque datato al II secolo d.C.
Tra il teatro e l’odeon si snoda ancora percorribile una scalinata in parte sotterranea, che come riteneva il Principe Ignazio di Biscari, potrebbe essere stata la via di collegamento tra i due edifici, ovvero essere identificata con un lembo di viabilità urbana, risalente a un periodo molto posteriore, allorché i due edifici non erano ormai più in uso.



COMPLESSO MONUMENTALE DELLA ROTONDA



Ubicato a nord del Teatro romano, l’edificio, noto come Terme della Rotonda, ha oggi ingresso sulla stretta omonima via che sale verso la parte alta della collina, acropoli della città antica.
Gli scavi, determinati subito dopo il secondo conflitto mondiale dalla necessità di intervenire nell’edificio gravemente danneggiato dai bombardamenti aerei, furono diretti da Guido Libertini che individuò al di sotto dei livelli pavimentali strutture di età tardo ellenistica, intese come pertinenti ad un più antico edificio termale. Lo scavo e l’analisi delle murature in elevato gli permisero di riconoscere la presenza di rimaneggiamenti di epoca tardo imperiale, e di fare risalire al VI secolo d.C. il momento in cui l’edificio, che è il calidarium, o forse il laconicum, di un grande complesso termale, fu riusato come chiesa.
Consacrata alla Madonna Assunta, come dice lo storico Vito Maria Amico, essa ebbe a subire diverse trasformazioni: ad età medievale risale la porta ogivale aperta sul fianco settentrionale e la merlatura aggiunta ai muri esterni, mentre sarebbe di epoca tardo rinascimentale la porta del lato sud.
Dell’antico edificio termale rimane oggi una sala a pianta circolare inscritta in un quadrato, movimentata all’interno da esedre, coperta da una grande cupola. L’adattamento dell’edificio a chiesa cristiana è identificabile nei resti del pavimento posto alla stessa quota delle due nuove porte, nell’adattamento di una delle esedre in altare maggiore e delle due laterali in cappelle.
Sono tuttora visibili sulle loro pareti tracce di dipinti, mentre sulle pareti che guardano il centro della sala sono ancora in posto porzioni degli affreschi di età barocca che, in parte danneggiati dai bombardamenti, furono rimossi per mettere in luce la muratura antica.
Nella tradizione locale la Rotonda era conosciuta col nome di Pantheon e molti eruditi catanesi erano convinti che essa, originariamente luogo di culto pagano, fosse servita da modello per l’omonimo tempio romano. Per primo il Principe di Biscari riconobbe nel monumento un edificio termale ed in tale opinione fu seguito dai numerosi viaggiatori che lo descrissero, come J. Houel, e dagli studiosi che successivamente se ne occuparono.

BALNEUM DI PIAZZA DANTE



Le mura che ancora oggi rimangono appartenevano a una domus privata, la cui estensione non è nota, di epoca romana imperiale. Si ritiene che la domus era una “casa a peristillio” cioè costituita da stanze che si affacciavano su un cortile centrale per mezzo di un portico colonnato. Sul lato occidentale rimangono ancora le basi di alcune stanze quadrate alle quali si andavano, probabilmente, ad aggiungere altre stanze delle quali rimangono solo poche tracce di muro. Al centro si estendeva il balneum, cioè il complesso termale, e vi erano quattro ambienti riscaldati attraverso l’ipocausto cioè un pavimento rialzato per mezzo delle colonnine sotto il quale c’era il passaggio per l’aria calda.

BALNEUM DI PIAZZA SANT’ANTONIO



In un cortiletto che si affaccia sulla piazza Sant’Antonio e accanto alla casa in cui nacque, nel 1796, il celebre compositore Giovanni Pacini, sorgeva un piccolo impianto termale, probabilmente un bagno privato appartenente a un ricco edificio che sfruttava quasi certamente le acque del vicino fiume Amenano. Questo impianto era in forme quadrangolari e se ne riconobbe il frigidarium, il laconicum e  un ampio calidarium.
Del sistema termale di particolare rilievo appare il vano quadrato del frigidario, che misura poco meno di 5 metri per lato. Ad esso si giungeva mediante tre rampe di scale in buono stato, situate nei tre lati sud, est e ovest. A sud si accedeva ad un’ampia camera in parte coperta dalla dispensa di una casa , a ovest si accedeva al laconico interpretato quale corridoio di accesso ad un ipotetico secondo piano della struttura, mentre ad est il vano quadrato era messo in comunicazione con l’ampio salone a pilastri identificato come calidario. I pilastri separavano alcuni ambienti di cui se ne può solo intuire la planimetria.
Dalla sezione che ne fa l’architetto Sebastiano Ittar  (Catania, 1768 – Catania, 1847) agli inizi del XIX secolo, si intuisce che dell’edificio non rimase in piedi che un piccolo alzato di non oltre il metro di altezza, salvo rare eccezioni.

Foro Romano



Presso il Cortile di San Pantaleone a Catania rimangono i resti di quello che fu identificato quale il Foro Romano di Catania.
Il Forum si presentava come una serie di diversi edifici circondanti un’ampia area centrale che costituiva il “foro” vero e proprio. Tali edifici dovettero essere quasi certamente essere dei magazzini o negozi. Lorenzo Bolano descriveva nel Cinquecento la presenza di otto ambienti con copertura a volta a sud e altri quattro a nord (quasi certamente perduti questi ultimi con la creazione di Via del Corso, attuale via Vittorio Emanuele II). Il Bolano riferisce anche di un’ala occidentale distrutta ai suoi tempi. Il Bolano tuttavia lo descrive come un impianto termale, dato che la zona era soggetta a periodici fenomeni di allagamento. La struttura rimase così definita fino alle dovute correzioni del Biscari. Ancora Valeriano De Franchi, cartografo per l’opera del D’Arcangelo, ne traccia una prima planimetria dove la struttura viene chiamata Terme Amasene.
Ai tempi del principe Ignazio Paternò Castello, il pianterreno risultava essere già sepolto, mentre il secondo piano (cinque metri più in alto) era diventato residenza per molti popolani e i lati ridotti a due soltanto (quelli a sud e ad est) uniti ad angolo retto.
Adolf Holm attesta esserci stati ai suoi tempi sette vani ad est e tre a sud e che questi furono chiamati “grotte di S. Pantaleo (…) per metà interrate e ridotte a povere abitazioni“. Il Libertini, in nota al testo dell’Holm, fa presente come gli otto ambienti a sud persistano, mentre le strutture a est furono convertite in antico in un unico corridoio. La facciata era di circa 45 metri di lunghezza. Tuttavia le strutture riconosciute dal Libertini erano quelle del secondo piano, mentre cinque metri più sopra rimanevano i ruderi del piano interrato che potrebbero essere i locali di cui fa menzione l’Holm.
Oggi del presunto foro rimangono soltanto un paio di ambienti attigui visibili a sud, con ingresso architravato sormontato da una apertura ad arco, oltre alle aperture ad arco semplice. Della struttura a est rimangono i resti di una parete in opus reticulatum appartenenti ad uno dei magazzini.


Terme dell’Indirizzo



Complesso termale romano ubicato in piazza Currò, nel cuore del vecchio mercato del pesce o Pescheria, trae la sua attuale denominazione dal convento carmelitano di Santa Maria dell’Indirizzo, che ne incorporò le strutture.
Dell’edificio, che prossimo agli impianti portuali della città era quasi certamente di uso pubblico, sopravvivono dieci vani con le coperture originarie, tra cui fa spicco una grandiosa sala a pianta ottagonale con copertura a cupola; nella parte superiore delle pareti si aprono delle finestre arcuate, mentre più in basso sono delle nicchie.
Al di sotto del piano d’uso, che dovette essere più alto di quello attuale, si aprivano i condotti per il passaggio dell’aria calda. In occasione delle esplorazioni condotte nel XVIII secolo il Principe di Biscari rinvenne tratti di condutture in piombo ancora incassate nelle pareti e le portò nel suo Museo.
La costruzione dell’edificio è in opera cementizia con paramenti in blocchi di pietra lavica. Come nell’Anfiteatro e nel Teatro, i mattoni sono impiegati nelle arcate e per delineare correttamente i livelli orizzontali delle pareti.



Terme Achilliane



Le terme Achilliane sono un complesso termale di età romana nascosto sotto la centralissima Piazza Duomo. Si accede all’ambiente termale passando da un corridoio con volta a botte ricavato nell’intercapedine tra le strutture romane e le fondamenta della cattedrale il cui accesso è costituito da una breve gradinata di epoche diverse posta a destra dell’osservatore. Il nome dell’impianto è dedotto da un’iscrizione su lastra di marmo ridottasi in sei frammenti principali, databile alla prima metà del V secolo, oggi esposta all’interno del Museo civico al Castello Ursino.
Poco si conosce delle reali dimensioni del grande complesso termale e quanto oggi è visitabile è appena una piccola porzione della sua estensione. Una ipotesi molto fantasiosa relativa alle dimensioni delle terme la fece nel 1633 il D’Arcangelo, erudito di storia locale, il quale fece realizzare una planimetria priva di elementi reali e riconoscibili, sebbene abbia il merito di essere il primo lavoro avanzato in tal direzione, ispirandosi palesemente alla planimetria delle terme di Diocleziano. Molto più accurata è la planimetria resa da Sebastiano Ittar nella pianta generale della città di Catania. In essa viene attribuita alle terme una cortina muraria che correva a sud della piazza Duomo, identificata quale muro perimetrale dell’area termale. Diversi scavi occasionali hanno fatto ipotizzare il rinvenimento di tracce dell’impianto in altre parti dell’areale oltre a quanto noto, facendo desumere che esso costituiva l’area oggi occupata dagli edifici compresi tra le piazze Duomo, Università e San Placido. All’interno della cinta che circondava l’edificio si ricavò per intero la Cattedrale e il primo impianto conventuale benedettino fondato dal vescovo Ansgerio. Alle mura di cinta sul lato occidentale si addossò anche la Loggia Senatoria, distrutta durante il terremoto del Val di Noto del 1693, e si aprì la Porta di Eliodoro.
Dell’impianto originale si conserva una camera centrale il cui soffitto a crociere è sorretto da quattro pilastri a pianta quadrangolare. Al vano si accede tramite un corridoio con volta a botte che corre in direzione est-ovest e terminante in una porta che si apre su una serie di vasche parallele tra loro, facenti parte di un complesso sistema di canalizzazione, drenaggio e filtrazione dell’acqua che si estende verso nord. Anche il vano principale si apre con tre ingressi ad arco sulle vasche, ad ovest del vano stesso.
L’ambiente misurerebbe 11,40 metri di larghezza e 12,15 metri di lunghezza, mentre le stanze di decantazione sarebbero lunghe in tutto 18,65 metri. Il corridoio misurerebbe 2,50 metri in larghezza per una lunghezza di oltre 16 metri.
Anticamente i pavimenti (di cui oggi non rimangono che labili tracce) erano in marmo, come dimostrano alcuni lacerti tra cui i resti di una vasca posta al centro dell’aula, mentre alle pareti e sul soffitto vi erano stucchi sicuramente dipinti ispirati al mondo della vendemmia, con eroti e tralci di vite; tali stucchi, sebbene ben leggibili nel XVIII secolo, oggi appaiono molto logori e in ampie parti lacunosi. La presenza di acqua corrente costantemente filtrata, l’assenza di aperture al di là dei tre accessi alle stanze di decantazione, la presenza di una vasca (piscina) al centro della sala e i rivestimenti marmorei dimostrano l’uso a frigidario dell’ambiente.

Anfiteatro Romano



L’Anfiteatro di Catania, uno dei maggiori dell’Impero Romano, si trovava ai margini settentrionali dell’antica Catina, a ridosso della collina di Montevergine. I suoi resti sono visitabili dall’ingresso di piazza Stesicoro. Altre porzioni sono visibili nel vicino vicolo Anfiteatro, dove se ne vede il prospetto fino al terzo ordine di arcate. All’interno di villa Cerami e nel cortile della chiesa di San Biagio vi sono parti del sistema d’archi che collegava l’Anfiteatro alla collina. La maggior parte dell’edificio è ancora sotto la città moderna, nelle zone di via Neve, via Manzoni, via del Colosseo e via Penninello.
La fabbrica, di forma ellittica (125 x 105 metri), fu realizzata con muri radiali, pilastri e volte. Le tecniche edilizie principali furono l’opus coementicium (miscela di calce, pietre e sabbia vulcanica) per i nuclei delle murature e l’opus mixtum (blocchi lavici e filari di mattoni) per i rivestimenti. Gli archi erano realizzati con grandi mattoni rettangolari di colore rosso. I sedili della cavea erano probabilmente in blocchi di calcare. Alcune parti erano foderate con lastre di marmo. L’edificio era abbellito da colonne, statue e bassorilievi. Si può ipotizzare l’esistenza di un tendone mobile in cima (velarium) steso a proteggere gli spettatori dalle intemperie. La cavea, che poteva contenere 15.000 spettatori seduti nei 32 gradini, era divisa in tre livelli separati da due corridoi e in settori, o cunei, separati da scalette in pietre lavica. Il livello superiore era coronato da uno spalto che aveva forse un portico colonnato, nel quale trovavano posto spettatori in piedi. L’arena (70 x 50 metri) era circondata da un podio rivestito di marmo, alle spalle del quale vi era un corridoio di servizio.
La facciata era rivestita di blocchi lavici e scandita da due ordini sovrapposti di arcate separate da lesene con capitelli lavici di ordine tuscanico. Alle gradinate si accedeva mediante corridoi concentrici coperti con volta a botte. Le arcate del corridoio esterno del piano terra, munite di cancelli, permettevano l’ingresso degli spettatori. L’edificio era separato dalla collina di Montevergine da un corridoio, ancora esistente, sormontato da archi e volte rampanti che collegavano l’edificio con la collina permettendo di raggiungere la cavea direttamente dalla parte alta della città.
L’Anfiteatro fu costruito in due momenti. Il primo edificio, forse del I secolo d.C., era più piccolo e comprendeva l’ambulacro interno con la cavea soprastante. Esso fu costruito all’interno di un avvallamento nel banco lavico, e un muro di terrazzamento lo separava dalla collina e dalle altre aree esterne poste a quote più alte. Nel II secolo d.C., forse in occasione dell’arrivo a Catania dell’Imperatore Adriano, l’edificio venne notevolmente ampliato con la costruzione dell’ambulacro esterno, di una nuova facciata, del sistema di archi rampanti che lo collegavano alla collina e di una cavea che triplicava il numero di posti.
Caduto in disuso nel V secolo, per concessione di Teodorico venne in parte spogliato dei suoi blocchi. Nel XII secolo si utilizzarono le sue pietre per la costruzione della nuova cattedrale di Catania. Durante la guerra dei Vespri Siciliani gli Angioini si servirono dei suoi ambulacri per penetrare all’interno della città; per tale ragione le arcate esterne furono successivamente murate e gli ambulacri riempiti di macerie.
La demolizione di quanto rimaneva del secondo e terzo livello continuò alla fine del XVI secolo, poiché i ruderi si trovavano a ridosso delle nuove mura della città. Dopo il terremoto del 1693 le sue rovine divennero le fondazioni dei sovrastanti edifici, tra i quali villa Cerami, la chiesa di San Biagio e il palazzo Tezzano. Agli inizi del XVIII secolo l’Anfiteatro era del tutto interrato o celato da palazzi, al punto che il fiammingo Philippe D’Orville dubitava della sua reale esistenza.


Cripta di S. Euplio



La cripta, in origine una tomba romana di età Imperiale, sorge sotto i ruderi della chiesa di Sant’Euplio distrutta nel 1943 durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Caratterizzato da un altare costituito da un capitello di epoca romana, è un luogo di culto di età tardo-antica. Secondo la tradizione all’interno di questa cripta sarebbe stato incarcerato il santo catanese Euplio prima del suo martirio, avvenuto probabilmente all’interno del vicino anfiteatro.

Ipogeo romano di via Sanfilippo



L’Ipogeo Romano è ubicato nella ex Selva del convento di Santa Maria di Gesù. Il monumento, impropriamente noto come “ipogeo quadrato” (per distinguerlo da un altro a pianta circolare che si trova nelle vicinanze), è in realtà una monumentale tomba di età romana imperiale (I-II sec. d.C.), tra le poche sopravvissute delle vaste necropoli di Catina che occupavano l’area a nord dell’attuale centro storico di Catania.
La tomba, che nel tardo Medioevo fu utilizzata come calcara dai monaci del convento, venne riscoperta dagli eruditi del XVII secolo. Raffigurata in un acquerello di J. Houel (XVIII sec.) e il alcune incisioni di S. Ittar (XIX sec.), essa sarà interamente scavata e portata in luce da F. Ferrara nei primi anni dell’800. Negli anni ’70 del secolo scorso la tomba è stata restaurata e resa visitabile all’interno di un’area attrezzata a verde.
Quanto resta dell’edificio si compone di una grande struttura a pianta rettangolare (circa 13 x 9 m), che mantiene uno spiccato di circa tre metri. La metà orientale dell’edificio è costituita da un massiccio corpo di fabbrica, mentre quella opposta è occupata da una camera quadrata parzialmente ipogeica,originariamente voltata, accessibile attraverso una scala dal lato corto occidentale. Al centro della parete di fondo si apre un loculo rettangolare; altre quattro nicchie, di dimensioni minori, si dispongono simmetricamente sulle altre pareti: una per ciascuno al centro dei lati nord e sud e due sulla parete d’ingresso, ai lati della scala.
La muratura dell’edificio, del tutto analoga a quella dei maggiori monumenti di Catina, è composta da un potente riempimento in opus coementicium (calce, sabbia vulcanica e scaglie di pietra lavica) rivestito in opus mixtum, formato da parti in opus vittatum (uso di mattoni nei cantonali e su tre filari che corrono lungo tutta la base del monumento) e parti in opus incertum (blocchetti di pietra lavica irregolarmente squadrati e lisciati in faccia-vista). Tutti gli studiosi concordano nell’ipotizzare che l’edificio avesse in origine un secondo piano, probabilmente inaccessibile, secondo un modello architettonico, di origine ellenistica, diffuso nel mondo romano dalla seconda metà del I sec. d.C.
Sull’aspetto originario del secondo piano, che non ha lasciato altre tracce che non siano le possenti murature che lo sostenevano, si possono fare solo congetture.



Guarda il Video del Percorso Archeologico





eXTReMe Tracker

Segnala Sicily Tourist ad un amico! Inserisci l'indirizzo e-mail:


I NOSTRI PARTNER UFFICIALI:
by SICILYTOURIST
Torna ai contenuti